Cos’è la Pasqua per il tarantino fuorisede

Succede che Pasqua è alle porte e che i tarantini fuorisede scendono in terronia.

Succede, in realtà, che per ogni festa che si rispetti il tarantino sa – salvo imprevisti di sorta – che alla vigilia di qualsiasi ricorrenza, locale o nazionale che sia, avrà il sedere piantato su uno dei sedili della Marozzi direzione sole, mare e ientu. E non ci saranno cariatidi con il sonno troppo pesante o l’aria condizionata sul pullman della speranza manco fosse agosto, a rovinargli la discesa in patria.

Succede, quindi, che Pasqua è alle porte e Taranto si ripopola, perché festeggiare in famiglia è un imperativo categorico, così come abbuffarsi di mozzarelle e agnello con le patate (non che ci sia una reale connessione tra le delizie sopra elencate, ma i latticini per il tarantino sono come il prezzemolo: stanno bene su tutto.)

Insomma, tornare a Taranto. Perché?

Perché tornare, diciamolo, fa sempre bene all’anima e allo spirito. E non importa che sia per poche ore o una settimana intera. Tornare è un bisogno prima ancora che un piacere.

Perché trascorrere la Pasqua al Nord – dove già normalmente il tarantino fuorisede si relega, cullato dall’idea di sbarcare il lunario, privandosi di tutte quelle leccornie a cui è abituato fin dalla primissima infanzia, all’ombra del sole del sud, del mare e delle friselle – non è un’opzione contemplabile. Vuoi mettere la Pasqua in famiglia, ubriacato da quell’allegria e quella serenità che solo una pecorella di zucchero da 2,50 euro è capace di regalarti?

Il tarantino fuorisede torna a Pasqua perché sa che non può rinunciare all’ebbrezza di organizzare la Pasquetta 24 ore prima, se va bene, o addirittura il giorno stesso dopo aver valutato attentamente la rosa delle opportunità sciorinate da amici e parentado.

Il tarantino fuorisede torna a Pasqua per ‘ammazzarsi’ di selfie in riva al mare e dichiarare – non senza fierezza – l’arrivo ufficiale dell’estate. Che, ad aprile, è una cosa che accade solo al sud. E mentre si spara pose improbabili – che nemmeno Rocco Siffredi sulla Playa desnuda – si crogiola nella convinzione di fare invidia agli amici polentoni che, nel frattempo, sono troppo impegnati nel menare sentenze ai terroni appena sbarcati.

Il tarantino torna a Taranto per Pasqua perché poi deve ‘salire l’olio’, i tarallini, deve andare dal parrucchiere e dare precise direttive alla mamma mentre prepara i boccacci.

Torna per rendersi conto che tecnicamente sarebbe stato meglio affettare salami tutta la vita, piuttosto che frantumarsi i maroni in una supercalifragilistichespiralidoso multinazionale nella speranza di un premio produttività. Roba che con lo stesso impegno, a Taranto, avrebbe aperto un agriturismo, senza però rinunciare alla famiglia e agli amici. Agli affetti. Quelli genuini.

Il tarantino fuorisede torna a Taranto per Pasqua e per qualsiasi altra festa perché sentirsi dire “sei deperito” è l’attesa giustificazione per abbuffarsi senza essere assalito dai sensi di colpa.

E mentre disfa le valigie, non appena mette piede a Taranto, pensa già a quando ritornerà su, in quella dimora che dimora non è; e penserà a quanto è bello stare con la mamma e il papà, penserà al profumo del caffè, delle cozze appena sfornate, alle sigarette con gli amici, agli scogli, alla Raffo ghiacciata. Alle chiacchierate, al dolore di abbandonare la sua terra senza avere il tempo di metabolizzare quanto sia appagante tornare, ogni santa volta e ogni santa festa a casa. Quella vera.

 

Photo credits: Denise P.S. (img in evidenza)

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